Ma realizzare qualcosa di innovativo, in Italia, non è per nulla semplice e scontato: ci sono diversi motivi per i quali il nostro Paese, infatti, si configura come uno degli ultimi in materia di innovazione digitale.
Business digitale: mancano le basi della mentalità
Il primo semestre 2017 ha segnato una linea rossa per le start up: gli investimenti su questi nuovi modi di fare business sono calati di oltre il 13% in soli sei mesi.
L’Italia si riconferma uno dei Paesi più legati alla vecchia economia di territorio, nonché poco avvezzi alle sperimentazioni in materia di digitale. La cultura delle start up e degli investimenti “a rischio” su nuove aziende appena nate è tutta anglosassone, e dà voce soprattutto a una categoria che fa fatica ad emergere in questo campo: i giovani.
Roberto Magnifico, uno dei membri del consiglio di amministrazione di LVenture group, ritiene che il problema della diffidenza sia da imputare in toto alla mentalità italiana. Le aziende che vogliono mantenere un’alta competitività sul mercato non hanno però la preparazione adeguata dal punto di vista anche teorico.
Quando le start up si propongono per progetti sinergici o chiedono investimenti monetari, sembra quasi che i direttori d’azienda a cui si rivolgono non sappiano nemmeno di cosa si stia parlando. Insomma, la difficoltà di intendersi pone in salita la strada per le start up, che non riescono ad emergere nemmeno se aiutate dalle società di venture capital.
Ecco perché spesso succede che le start up di formazione completamente italiana vadano ad emergere all’estero, cercando in altri Paesi gli appoggi economici che non sono riuscite ad avere in Italia. Questo avviene, sorprendentemente, nonostante gli incentivi fiscali che sono stati posti alle imprese sugli investimenti innovativi.
Business angels in rosa, qualcosa che cambia
Alcune figure di rilievo nel panorama economico italiano, tuttavia, hanno intuito che il digital business è il motore del futuro. Queste figure vengono chiamate i business angel, ossia dei manager, di solito alla guida di società di venture capital, che decidono di investire nell’innovazione e nel digitale come voci fuori dal coro.
Dimentichiamo il burbero aspetto del manager legato soltanto al profitto: spesso i business angels sono donne. Nel 2017, la donna più digitale d’Italia è stata Paola Bonomo, che già nelle due annate precedenti si era classificata bene nel ranking dei primi 50 imprenditori mondiali che puntano sul digitale.
Bonomo ha avuto il coraggio di investire in una start up di digital marketing chiamata AdEspresso. L’azienda innovativa mira a riunire gli inserzionisti di Facebook potenziando i click per la loro inserzione, e massimizzando con essi i guadagni ottenuti dalla pubblicità. Facebook, secondo Bonomo, è il bacino dell’advertising del futuro. Mancava qualcuno o qualcosa che riunisse gli inserzionisti e permettesse loro di confrontarsi come una vera e propria associazione di categoria. Per sopperire a queste mancanze, però, le aziende tradizionali non sono adatte, proprio perché troppo legate ad un modo ancora vetusto di fare economia.
Le start up, al contrario, puntano a digitalizzare completamente (o quasi completamente) il mon